24 Novembre. Mentre nuove violente mareggiate si abbattono sulle coste italiane, noi ancora non ci riprendiamo dall'onda d'urto di quelle di una settimana fa. Tanti litorali italiani sono stati letteralmente divorati dalle onde, sono crollati stabilimenti balneari, sono franati addirittura tratti di lungomare, laddove la spiaggia era ridotta oramai a uno sfilatino, alimentato ciclicamente da flebo di sabbia da ripascimento, come a Casalbordino, dove ho scattato questa foto. Attrezzature e barche all’aria, casotti rovesciati come scatolette, danni incalcolabili, e forse mai così estesi. Da nord a sud, e da sud a nord, tutta la citta’ effimera del divertimento balneare è stata messa sottosopra.
In questo disastro, sono
emersi dai flutti nomi noti, resi familiari dalla cronaca di questa estate. Ad
esempio Lignano, Policoro, Albenga, Castel
Volturno, Campo di Mare, tutte località dove il Jova Beach ha fatto tappa. E in
questo scenario di distruzione, mentre ci viene presentato il conto delle dissennate
scelte urbanistiche di decenni, suona ancora più surreale il film andato in
onda questa estate: l’idea che su quelle stesse spiagge, invece di pensare alle
cose serie, alla protezione del territorio, si siano portate ruspe e camion per
allestire dei megaconcerti, livellando l’arenile e compromettendo ulteriormente
la resilienza dei sistemi costieri; l’idea che si siano potuto
portare tonnellate di quella stessa sabbia che viene a mancare sotto i nostri
piedi su un molo di Olbia, per qualche ora di divertimento. Gli operatori
balneari, una delle categorie chiamate in causa per i guadagni milionari che il
Jova Beach gli avrebbe garantito, oggi piangono danni altrettanto milionari.
Da dove scrivo posso
guardare il mare, mi trovo faccia a faccia con le sue onde. Che oggi tornano ad
avvicinarsi minacciose alla linea del marciapiede. Uno spettacolo, di fronte al
quale si rimane impotenti. In questo campo di
battaglia che sono le coste italiane, in questa prima linea dove l'uomo
combatte una insensata battaglia contro la natura, quando capiremo che ci
conviene firmare un trattato di pace, prima che sia troppo tardi?
Una volta, tra me e il mare
si sarebbe frapposto un cordone di dune, con tutta la vegetazione annessa, che formavano
una naturale barriera di protezione per tutto l'entroterra, dalle incursioni
del mare, dai venti salsi, dalle tempeste di sabbia. Un intero sistema che
impediva la dispersione silicea, con le dune a funzionare da grandi regolatori,
o banche di sabbia. Una volta, quando noi eravamo ancora parte della natura,
all'interno della sua cintura di protezione.
Sarebbe bene ricordarlo,
mentre si tenta di arginare la forza delle acque con sacchi di sabbia un poco
ovunque, che noi avevamo una barriera naturale di sacchi di sabbia, lungo tutta
la nostra costa. Quando la spiaggia di Casalbordino, oggi la più erosa d’Abruzzo,
aveva la profondità di un centinaio di metri, e dune imponenti.
Poi sono arrivati gli
stabilimenti balneari, prima discreti, in legno, poi sempre più invasivi,
numerosi, con il linguaggio del cemento, sono arrivate le speculazioni, i
lungomare, che hanno fatto tabula rasa di tutto quell'ecosistema, le
costruzioni fin sulla spiaggia. Infine sono arrivati porticcioli turistici a
profusione, ad aggravare definitivamente il problema dell’erosione. Ogni
centimetro quadrato del nostro territorio è diventato oggetto di lucro .E oggi gli
operatori balneari piangono per il crollo di quegli stessi lungomare, di una
città balneare che di fronte alla forza degli elementi si rivela effimera quanto
quella del Jova Beach. Il futuro turistico è a rischio, e per questo si
chiedono misure di protezione drastiche e immediate, altre barriere
frangiflutti, altri esborsi di denaro pubblico, la predisposizione di un
gigantesco MOSE lungo tutta la costa, i cui effetti positivi, qualora ci
saranno, si disperderanno in una serie di effetti collaterali negativi.
Continuiamo a pensare che
la spiaggia sia un dato di fatto, inalterabile, un bene economico da sfruttare, e
non il risultato di un processo naturale, che laddove viene alterato porta
all'erosione inesorabile. Pian piano, nelle prossime settimane, il mare
comincerà a restiuire sabbia e respiro, attraverso il lavorio di onde e
correnti, pian piano la natura stessa comincerà a ricostruire quanto e’ stato
distrutto, e basterebbe che la mettessimo in condizione di farlo fino in fondo
Eppure, nessuno, tra gli
operatori che sarebbero economicamente
interessati a che ciò avvenga, sembra avere il coraggio o la
lungimiranza di stimolare una riflessione in questo senso. Nessuno
che dica che, invece di aggiungere altre opere dell’uomo, come barriere
frangiflutti e pennelli, bisogna cominciare a levarle per dare respiro ai
sistemi naturali, nessuno che dica che abbiamo bisogno di una gigantesca opera
di restauro ambientale, lunga una penisola. Nessuno che abbia la lucidità di risalire alle cause a
monte, di tutta questa situazione. Ma davvero a monte.
Perchè la spiaggia comincia
in montagna, ovvero la spiaggia comincia dove comincia il corso dei fiumi, che trasportano
i suoi granelli con il contributo di tutti i sistemi naturali attraversati.
Granelli che, una volta giunti al mare, vengono trasportati dalle correnti costiere,
e distribuiti lungo i litorali, che ne beneficiano, anche per la stagione
turistica. La cementificazione del territorio ha fatto sì che non solo sempre
meno sabbia giungesse negli alvei fluviali, ma che vi venisse per giunta
prelevata, perchè per fare il cemento serve sabbia da costruzione. La
cementificazione degli stessi alvei ha aggravato ulteriormente la situazione,
come anche la creazione di dighe, che trattengono il libero corso dell’acqua
per creare dei bacini ad uso delle attività umane, che sia produzione di
elettricità o irrigazione. Per questo i fiumi non ce la fanno più a portare
tanta sabbia, e le correnti marine, laddove la depositavano oggi contribuiscono
a eroderla.
Le spiagge sono dunque a
valle di tutto, tutto un sistema sbagliato, e ne pagano i danni. Ma da decenni
tutti gli operatori del turismo balneare, invece di allearsi con la natura contro
un sistema che pregiudica i loro
interessi, invece di protestare contro la cementificazione dei fiumi, ad
esempio, hanno completato allegramente l’opera di distruzione, asportando dalla
spiaggia ogni presidio vegetale contro l’erosione, limando ogni duna embrionale,
soffocando qualunque ritorno di naturalità, ripulendo con zelo l’arenile dai
detriti che, come la Posidonia, costituiscono un fattore di ripascimento, chiedendo
ulteriori cementificazioni. E cosa ci rimane da fare se non auspicare che con i
fiumi, insieme alla sabbia e al limo, riesca finalmente ad arrivare sulle
spiagge anche un poco di materia grigia?
Basterebbe aprire gli occhi
su quanto scrive il Comitato Dune Bene Comune nel suo comunicato. “Le foto raccolte ieri alla stazione di
Tollo a Ortona (ma lo stesso è avvenuto, ad esempio, a Vasto marina) sono
impietose: dove sono sopravvissute le dune e la vegetazione a fare da
cuscinetto rispetto al moto ondoso non ci sono grandi danni. Invece dove si è
costruito sulla spiaggia eliminando ogni forma di naturalità si registrano
criticità estreme”.
O quanto dice Fabio Vallarola, direttore dell'Area Marina Protetta Torre del Cerrano, a Cityrumors
“La mareggiata ha fatto cadere strutture,
stabilimenti e ciclabili persino dove ci sono le scogliere, a Montesilvano,
Civitanova e Porto San Giorgio danni enormi anche dietro le scogliere
orizzontali in mare. Mentre l’unico luogo dove non è successo nulla è proprio
qui, lungo le spiagge protette dell’Area Marina dove c’è il rispetto dei
fondali, che con le proprie secche dissipano l’energia delle onde prima che
arrivino sulla spiaggia, e dove si opera con la tutela delle dune. Esse
mantengono la sabbia sia durante l’azione erosiva quotidiana del vento che in
occasione delle mareggiate. Nessun problema agli stabilimenti presenti nell’AMP
laddove si applicano, insieme ai Comuni di Pineto e Silvi, sistemi di pulizia
delle spiagge compatibili con la tutela della naturalità dei luoghi”.
Concludo con una
citazione dal blog del WWF, sezione di Teramo, che messe da parte le “emozioni del momento”,
determinate da un’estate vissuta in maniera troppo rock, torna ai suoi temi
consueti:
"Una politica oculata da questo dovrebbe ripartire. Dovrebbe
essere capace di mettere da parte le emozioni del momento e avviare in tempi
rapidi un piano di tutela della costa, di adattamento ai cambiamenti climatici,
di pianificazione territoriale e di rinaturalizzazione che si discosti
totalmente dagli errori del passato e che possa aiutare a gestire un territorio
ormai fragilissimo".climatici,
di pianificazione territoriale e di rinaturalizzazione che si discosti
totalmente dagli errori del passato e che possa aiutare a gestire un territorio
ormai fragilissimo".
E se lo dice il WWF...
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