Manca un solo giorno alla fine del “lockdown” integrale, e tutti fremiamo
nelle nostre case, attendendo il suono liberatorio della campanella. Ci avviciniamo all'estate 2020, non sapendo ancora
in che condizioni la vivremo: se potremo tornare alla “normalità”,
o se avremo finalmente scoperto che la normalità era il vero
problema, se riporremo ancora la nostra fiducia in un film di
plastica piuttosto che nel buon senso; se dovremo vivere ancora a
lungo con le burka-mascherine, sotto la minaccia dei lanciafiamme di De Luca, senza lasciare più impronte digitali, ma
guanti monouso.
In
una situazione così paradossale, nella quale per molti il mare
resterà ancora a lungo un miraggio, cosa c'è di meglio che
ricordare i bei tempi felici dell'estate 2019, quando lottavamo contro
una serie di megaconcerti lungo le spiagge italiane? In tempi di
virus particolarmente diffusivi, Jovid-19 non poteva fare a meno di
ricominciare a imperversare, ovviamente, prima con il suo “Jova
House Party”, a rendere ancora più alienante il
periodo della quarantena, e poi con il suo docutrip “Non voglio
cambiare pianeta”, nel quale dimostra quanto sia ecologico
spostarsi per 4.000 Km in bici, dopo averne percorsi 13.000 su un
aereo, e altrettanti a ritorno.
Devo ammettere che io non ho visto neanche un minuto di questa docutrippa -solo
qualche immagine di presentazione- perché, dopo essere stato
costretto a vedere il suo orrendo “film”, tutta l'estate scorsa,
stavolta non ne voglio proprio sapere, potrei vomitare. Ma posso senz'altro dire
che uno che va in cerca di solitudine con la sua bicicletta, filmando
tutto quello che fa e dice, persino i suoi piedi sul letto, forse va
solo in cerca di masturbazioni, di uno sfogo al suo egocentrismo
sconfinato. “Non voglio cambiare pianeta” dice lui,
“Peccato!” rispondiamo noi. E se questa epidemia ci ha
dimostrato, per tanti versi, che il vero virus è l'uomo, ne abbiamo
una ulteriore patologica conferma.
L'uomo plagiato e plasmato dal
capitalismo, il quale parla attraverso i suoi campioni mediatici, che
non a caso in questi giorni si affannano, in un estenuante
presenzialismo, a riconfigurare le proprie strategie, per non perdere
“grip” tra gli adepti, e portare comunque a termine la missione a
loro assegnata.
Con
questo post voglio riprendere un filo lasciato in sospeso a dicembre
2019, a causa di altri impegni. Con l'obiettivo di concludere e
pubblicare finalmente “A CHI JOVA BEACH PARTY - cronache di
ordinario delirio dalle spiagge italiane”, un libretto digitale
in PDF che sarà liberamente scaricabile, e che oltre ai miei
interventi conterrà molti altri contributi. Questo non per
un'ossessione personale verso il “personaggio Jovanotti”, che
sarei ben felice di lasciarmi alle spalle il prima possibile, ma
piuttosto per rendere omaggio a tutto quel fronte di attivisti che,
loro malgrado, hanno dovuto passare l'estate scorsa in trincea, quei "soliti
irriducibili, poveri illusi, che rischiano la vita per difendere un
nido di tartaruga marina, mentre gli altri se la ridono sotto il
palco millantando un fantomatico ripristino dei luoghi",
come ha scritto Salvatore Urso in un suo tweet. Per non perdere
l'occasione di raccontare quei miracoli della natura che, nonostante
Jovanotti, nonostante tutto, continuano a rinnovarsi sulle nostre
spiagge, con la deposizione di un uovo di Fratino, o di Corriere Piccolo. Per raccontare dal nostro punto di
vista un evento che ha marcato in maniera indelebile la storia
dell'ambientalismo, e del costume – o piuttosto malcostume-
italiano. Cosa
è stato il Jova Beach Tour se non la rappresentazione straordinaria
di un ordinario delirio da spiaggia, l'apice spettacolare della
deroga permanente a qualunque principio di tutela degli habitat
naturalistici? Uno tsunami, di ipocrisia e opportunismo, che ha
distrutto qualunque cosa sul suo passaggio, con l’illusione di
lasciare le spiagge pulite. Anzi più pulite di prima.
Pensavo
di pubblicare gli ultimissimi post, rimasti incompleti, già da
inizio marzo, ma l'emergenza che ci ha travolti tutti, con il suo
carico di tragedia, mi ha fatto rimandare di settimana in settimana.
Ora che un filo di ottimismo per il futuro riaffiora nelle nostre
vite e l'estate è vicina, ed è meglio affrontarla senza dimenticare
il passato, ho deciso di pubblicare da oggi un post ogni settimana,
per un mese, finché vi svelerò la copertina del “libro” e lo
renderò scaricabile.
Nel
frattempo avremo sicuramente più chiaro cosa ci aspetta nel prossimo
futuro. Perché siamo tutti curiosi, no? Cosa ci racconteranno
quest'estate per farci sembrare la nostra condizione più normale?
Organizzeranno dei giganteschi drive in nelle piazze italiane per
farci vedere, come surrogato dell'estasi balneare, il Jova Beach
Party su dei maxischermi? Le marche di candeggina e amuchina
sponsorizzeranno i prossimi tour? Ci diranno che i separé in
plexiglas non ci rendono distanti, se potremo riciclarli per farne
dei dischi, coi quali cantare tutti insieme, da casa, le canzoni di
Jovid-19? Invaderanno ancora le spiagge libere seminaturali con la scusa del distanziamento? Oppure ci diranno ancora che tutta quella plastica monouso per
difenderci dal virus, che si accumula nei mari, e sulle spiagge, e i
guanti, le mascherine, non sono poi così dannosi se si può farne
delle magliette sintetiche da regalare a delle polisportive
giovanili? E proprio da questa mistificazione -che illustra
perfettamente il significato ultimo del greenwashing-
dove avevo interrotto i post dell'anno scorso il 2 dicembre, riparto
per riallacciare un filo. Cliccando qui, sul mio ultimo post intitolato "UN CALCIO ALL'AMBIENTE".
In
copertina una foto del Jova Beach Party, tratta da Repubblica.it,
interpolata con il modello 3D del Coronavirus tratto da Turbosquid
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