martes, 26 de noviembre de 2019

QUANDO LE ONDE BUSSANO ALLA PORTA




24 Novembre. Mentre nuove violente mareggiate si abbattono sulle coste italiane, noi ancora non ci riprendiamo dall'onda d'urto di quelle di una settimana fa. Tanti litorali italiani sono stati letteralmente divorati dalle onde, sono crollati stabilimenti balneari, sono franati addirittura tratti di lungomare, laddove la spiaggia era ridotta oramai a uno sfilatino, alimentato ciclicamente da flebo di sabbia da ripascimento, come a Casalbordino, dove ho scattato questa foto. Attrezzature e barche all’aria, casotti rovesciati come scatolette, danni  incalcolabili, e forse mai così estesi. Da nord a sud, e da sud a nord, tutta la citta’ effimera del divertimento balneare è stata messa sottosopra. 


In questo disastro, sono emersi dai flutti nomi noti, resi familiari dalla cronaca di questa estate. Ad esempio Lignano,  Policoro, Albenga, Castel Volturno, Campo di Mare, tutte località dove il Jova Beach ha fatto tappa. E in questo scenario di distruzione, mentre ci viene presentato il conto delle dissennate scelte urbanistiche di decenni, suona ancora più surreale il film andato in onda questa estate: l’idea che su quelle stesse spiagge, invece di pensare alle cose serie, alla protezione del territorio, si siano portate ruspe e camion per allestire dei megaconcerti, livellando l’arenile e compromettendo ulteriormente la resilienza dei sistemi costieri; l’idea che si siano potuto portare tonnellate di quella stessa sabbia che viene a mancare sotto i nostri piedi su un molo di Olbia, per qualche ora di divertimento. Gli operatori balneari, una delle categorie chiamate in causa per i guadagni milionari che il Jova Beach gli avrebbe garantito, oggi piangono danni altrettanto milionari. 


Da dove scrivo posso guardare il mare, mi trovo faccia a faccia con le sue onde. Che oggi tornano ad avvicinarsi minacciose alla linea del marciapiede. Uno spettacolo, di fronte al quale si rimane impotenti. In questo campo di battaglia che sono le coste italiane, in questa prima linea dove l'uomo combatte una insensata battaglia contro la natura, quando capiremo che ci conviene firmare un trattato di pace, prima che sia troppo tardi?


Una volta, tra me e il mare si sarebbe frapposto un cordone di dune, con tutta la vegetazione annessa, che formavano una naturale barriera di protezione per tutto l'entroterra, dalle incursioni del mare, dai venti salsi, dalle tempeste di sabbia. Un intero sistema che impediva la dispersione silicea, con le dune a funzionare da grandi regolatori, o banche di sabbia. Una volta, quando noi eravamo ancora parte della natura, all'interno della sua cintura di protezione. 


Sarebbe bene ricordarlo, mentre si tenta di arginare la forza delle acque con sacchi di sabbia un poco ovunque, che noi avevamo una barriera naturale di sacchi di sabbia, lungo tutta la nostra costa. Quando la spiaggia di Casalbordino, oggi la più erosa d’Abruzzo, aveva la profondità di un centinaio di metri, e dune imponenti.


Poi sono arrivati gli stabilimenti balneari, prima discreti, in legno, poi sempre più invasivi, numerosi, con il linguaggio del cemento, sono arrivate le speculazioni, i lungomare, che hanno fatto tabula rasa di tutto quell'ecosistema, le costruzioni fin sulla spiaggia. Infine sono arrivati porticcioli turistici a profusione, ad aggravare definitivamente il problema dell’erosione. Ogni centimetro quadrato del nostro territorio è diventato oggetto di lucro .E oggi gli operatori balneari piangono per il crollo di quegli stessi lungomare, di una città balneare che di fronte alla forza degli elementi si rivela effimera quanto quella del Jova Beach. Il futuro turistico è a rischio, e per questo si chiedono misure di protezione drastiche e immediate, altre barriere frangiflutti, altri esborsi di denaro pubblico, la predisposizione di un gigantesco MOSE lungo tutta la costa, i cui effetti positivi, qualora ci saranno, si disperderanno in una serie di effetti collaterali negativi. 


Continuiamo a pensare che la spiaggia sia un dato di fatto, inalterabile, un bene economico da sfruttare, e non il risultato di un processo naturale, che laddove viene alterato porta all'erosione inesorabile. Pian piano, nelle prossime settimane, il mare comincerà a restiuire sabbia e respiro, attraverso il lavorio di onde e correnti, pian piano la natura stessa comincerà a ricostruire quanto e’ stato distrutto, e basterebbe che la mettessimo in condizione di farlo fino in fondo

Eppure, nessuno, tra gli operatori che sarebbero economicamente  interessati a che ciò avvenga, sembra avere il coraggio o la lungimiranza di stimolare una riflessione in questo senso. Nessuno che dica che, invece di aggiungere altre opere dell’uomo, come barriere frangiflutti e pennelli, bisogna cominciare a levarle per dare respiro ai sistemi naturali, nessuno che dica che abbiamo bisogno di una gigantesca opera di restauro ambientale, lunga una penisola. Nessuno che abbia la lucidità di risalire alle cause a monte, di tutta questa situazione. Ma davvero a monte.


Perchè la spiaggia comincia in montagna, ovvero la spiaggia comincia dove comincia il corso dei fiumi, che trasportano i suoi granelli con il contributo di tutti i sistemi naturali attraversati. Granelli che, una volta giunti al mare, vengono trasportati dalle correnti costiere, e distribuiti lungo i litorali, che ne beneficiano, anche per la stagione turistica. La cementificazione del territorio ha fatto sì che non solo sempre meno sabbia giungesse negli alvei fluviali, ma che vi venisse per giunta prelevata, perchè per fare il cemento serve sabbia da costruzione. La cementificazione degli stessi alvei ha aggravato ulteriormente la situazione, come anche la creazione di dighe, che trattengono il libero corso dell’acqua per creare dei bacini ad uso delle attività umane, che sia produzione di elettricità o irrigazione. Per questo i fiumi non ce la fanno più a portare tanta sabbia, e le correnti marine, laddove la depositavano oggi contribuiscono a eroderla. 


Le spiagge sono dunque a valle di tutto, tutto un sistema sbagliato, e ne pagano i danni. Ma da decenni tutti gli operatori del turismo balneare, invece di allearsi con la natura contro un sistema che pregiudica  i loro interessi, invece di protestare contro la cementificazione dei fiumi, ad esempio, hanno completato allegramente l’opera di distruzione, asportando dalla spiaggia ogni presidio vegetale contro l’erosione, limando ogni duna embrionale, soffocando qualunque ritorno di naturalità, ripulendo con zelo l’arenile dai detriti che, come la Posidonia, costituiscono un fattore di ripascimento, chiedendo ulteriori cementificazioni. E cosa ci rimane da fare se non auspicare che con i fiumi, insieme alla sabbia e al limo, riesca finalmente ad arrivare sulle spiagge anche un poco di materia grigia? 


Basterebbe aprire gli occhi su quanto scrive il Comitato Dune Bene Comune nel suo comunicato. “Le foto raccolte ieri alla stazione di Tollo a Ortona (ma lo stesso è avvenuto, ad esempio, a Vasto marina) sono impietose: dove sono sopravvissute le dune e la vegetazione a fare da cuscinetto rispetto al moto ondoso non ci sono grandi danni. Invece dove si è costruito sulla spiaggia eliminando ogni forma di naturalità si registrano criticità estreme”.
 

O quanto dice Fabio Vallarola, direttore dell'Area Marina Protetta Torre del Cerrano, a Cityrumors  “La mareggiata ha fatto cadere strutture, stabilimenti e ciclabili persino dove ci sono le scogliere, a Montesilvano, Civitanova e Porto San Giorgio danni enormi anche dietro le scogliere orizzontali in mare. Mentre l’unico luogo dove non è successo nulla è proprio qui, lungo le spiagge protette dell’Area Marina dove c’è il rispetto dei fondali, che con le proprie secche dissipano l’energia delle onde prima che arrivino sulla spiaggia, e dove si opera con la tutela delle dune. Esse mantengono la sabbia sia durante l’azione erosiva quotidiana del vento che in occasione delle mareggiate. Nessun problema agli stabilimenti presenti nell’AMP laddove si applicano, insieme ai Comuni di Pineto e Silvi, sistemi di pulizia delle spiagge compatibili con la tutela della naturalità dei luoghi”.


Concludo con una citazione dal blog del WWF, sezione di Teramo, che messe da parte le “emozioni del momento”, determinate da un’estate vissuta in maniera troppo rock, torna ai suoi temi consueti:


"Una politica oculata da questo dovrebbe ripartire. Dovrebbe essere capace di mettere da parte le emozioni del momento e avviare in tempi rapidi un piano di tutela della costa, di adattamento ai cambiamenti climatici, di pianificazione territoriale e di rinaturalizzazione che si discosti totalmente dagli errori del passato e che possa aiutare a gestire un territorio ormai fragilissimo".climatici, di pianificazione territoriale e di rinaturalizzazione che si discosti totalmente dagli errori del passato e che possa aiutare a gestire un territorio ormai fragilissimo".


E se lo dice il WWF...


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