sábado, 2 de mayo de 2020

JOVID-19



Manca un solo giorno alla fine del “lockdown” integrale, e tutti fremiamo nelle nostre case, attendendo il suono liberatorio della campanella. Ci avviciniamo all'estate 2020, non sapendo ancora in che condizioni la vivremo: se potremo tornare alla “normalità”, o se avremo finalmente scoperto che la normalità era il vero problema, se riporremo ancora la nostra fiducia in un film di plastica piuttosto che nel buon senso; se dovremo vivere ancora a lungo con le burka-mascherine, sotto la minaccia dei lanciafiamme di De Luca, senza lasciare più impronte digitali, ma guanti monouso. 

In una situazione così paradossale, nella quale per molti il mare resterà ancora a lungo un miraggio, cosa c'è di meglio che ricordare i bei tempi felici dell'estate 2019, quando lottavamo contro una serie di megaconcerti lungo le spiagge italiane? In tempi di virus particolarmente diffusivi, Jovid-19 non poteva fare a meno di ricominciare a imperversare, ovviamente, prima con il suo “Jova House Party”, a rendere ancora più alienante il periodo della quarantena, e poi con il suo docutrip “Non voglio cambiare pianeta”, nel quale dimostra quanto sia ecologico spostarsi per 4.000 Km in bici, dopo averne percorsi 13.000 su un aereo, e altrettanti a ritorno. 
Devo ammettere che io non ho visto neanche un minuto di questa docutrippa -solo qualche immagine di presentazione- perché, dopo essere stato costretto a vedere il suo orrendo “film”, tutta l'estate scorsa, stavolta non ne voglio proprio sapere, potrei vomitare. Ma posso senz'altro dire che uno che va in cerca di solitudine con la sua bicicletta, filmando tutto quello che fa e dice, persino i suoi piedi sul letto, forse va solo in cerca di masturbazioni, di uno sfogo al suo egocentrismo sconfinato. “Non voglio cambiare pianeta” dice lui, “Peccato!” rispondiamo noi. E se questa epidemia ci ha dimostrato, per tanti versi, che il vero virus è l'uomo, ne abbiamo una ulteriore patologica conferma. 
L'uomo plagiato e plasmato dal capitalismo, il quale parla attraverso i suoi campioni mediatici, che non a caso in questi giorni si affannano, in un estenuante presenzialismo, a riconfigurare le proprie strategie, per non perdere “grip” tra gli adepti, e portare comunque a termine la missione a loro assegnata.

Con questo post voglio riprendere un filo lasciato in sospeso a dicembre 2019, a causa di altri impegni. Con l'obiettivo di concludere e pubblicare finalmente “A CHI JOVA BEACH PARTY - cronache di ordinario delirio dalle spiagge italiane”, un libretto digitale in PDF che sarà liberamente scaricabile, e che oltre ai miei interventi conterrà molti altri contributi. Questo non per un'ossessione personale verso il “personaggio Jovanotti”, che sarei ben felice di lasciarmi alle spalle il prima possibile, ma piuttosto per rendere omaggio a tutto quel fronte di attivisti che, loro malgrado, hanno dovuto passare l'estate scorsa in trincea, quei "soliti irriducibili, poveri illusi, che rischiano la vita per difendere un nido di tartaruga marina, mentre gli altri se la ridono sotto il palco millantando un fantomatico ripristino dei luoghi", come ha scritto Salvatore Urso in un suo tweet. Per non perdere l'occasione di raccontare quei miracoli della natura che, nonostante Jovanotti, nonostante tutto, continuano a rinnovarsi sulle nostre spiagge, con la deposizione di un uovo di Fratino, o di Corriere Piccolo. Per raccontare dal nostro punto di vista un evento che ha marcato in maniera indelebile la storia dell'ambientalismo, e del costume – o piuttosto malcostume- italiano. Cosa è stato il Jova Beach Tour se non la rappresentazione straordinaria di un ordinario delirio da spiaggia, l'apice spettacolare della deroga permanente a qualunque principio di tutela degli habitat naturalistici? Uno tsunami, di ipocrisia e opportunismo, che ha distrutto qualunque cosa sul suo passaggio, con l’illusione di lasciare le spiagge pulite. Anzi più pulite di prima. 
 
Pensavo di pubblicare gli ultimissimi post, rimasti incompleti, già da inizio marzo, ma l'emergenza che ci ha travolti tutti, con il suo carico di tragedia, mi ha fatto rimandare di settimana in settimana. Ora che un filo di ottimismo per il futuro riaffiora nelle nostre vite e l'estate è vicina, ed è meglio affrontarla senza dimenticare il passato, ho deciso di pubblicare da oggi un post ogni settimana, per un mese, finché vi svelerò la copertina del “libro” e lo renderò scaricabile. 
 
Nel frattempo avremo sicuramente più chiaro cosa ci aspetta nel prossimo futuro. Perché siamo tutti curiosi, no? Cosa ci racconteranno quest'estate per farci sembrare la nostra condizione più normale? Organizzeranno dei giganteschi drive in nelle piazze italiane per farci vedere, come surrogato dell'estasi balneare, il Jova Beach Party su dei maxischermi? Le marche di candeggina e amuchina sponsorizzeranno i prossimi tour? Ci diranno che i separé in plexiglas non ci rendono distanti, se potremo riciclarli per farne dei dischi, coi quali cantare tutti insieme, da casa, le canzoni di Jovid-19? Invaderanno ancora le spiagge libere seminaturali con la scusa del distanziamento? Oppure ci diranno ancora che tutta quella plastica monouso per difenderci dal virus, che si accumula nei mari, e sulle spiagge, e i guanti, le mascherine, non sono poi così dannosi se si può farne delle magliette sintetiche da regalare a delle polisportive giovanili? E proprio da questa mistificazione -che illustra perfettamente il significato ultimo del greenwashing- dove avevo interrotto i post dell'anno scorso il 2 dicembre, riparto per riallacciare un filo. Cliccando qui, sul mio ultimo post intitolato "UN CALCIO ALL'AMBIENTE".








In copertina una foto del Jova Beach Party, tratta da Repubblica.it, interpolata con il modello 3D del Coronavirus tratto da Turbosquid

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