lunes, 26 de agosto de 2019

L'IMPRONTA EGOLOGICA




L'immensità dell'arco alpino che si staglia dietro a quella sgraziata baracca del palco di Jovanotti,  con tutta la sua cianfrusaglia balneare di pessimo gusto - Sirena, Palma, Venere, Razzo, e chi più ne ha più ne metta - ne certifica, in un colpo d'occhio, la condizione di chi, salendo fino a 2275 metri, ha raggiunto con pieno compiacimento il picco della sua megalomania. E da quelle altezze scaglia i suoi strali, novello Giove, contro chi ancora osa semplicemente stare dalla parte della natura per fargli notare che avere un senso del limite, e comprendere i possibili, anzi oramai conclamati danni, che un evento di tali proporzioni arreca, non ha nulla di elitario (che poi bisognerebbe capire di quanta gente ha bisogno lui per non sentirsi elitario): ho trascinato un’intera squadra -dice il Jova- e poi tutti voi/noi in questa idea che, lo ripeto allo sfinimento, come tutte le idee nuove genera entusiasmo in chi è di mente aperta e chiusura in chi tende alla chiusura (o delirio e propaganda falsa in chi, ed è il peggio di tutti, è semplicemente in malafede, e finge anche quando respira). 
Che dire? Che il mal di montagna è una condizione patologica causata dal mancato adattamento dell'organismo alle grandi altitudini, dovuta principalmente alla ridotta pressione atmosferica e alla carenza di ossigeno, che interferisce anche con i processi di pensiero, non fosse che simili affermazioni Jovanotti le ha fatte anche al livello del mare. Allora dobbiamo ricercare una spiegazione nel fatto che lui evochi tanto spesso, anche nel post di cui sopra, la parola Trip? Proprio lui pronto a spingere e celebrare l'emancipazione dell'umanità da qualunque forma di intolleranza, appare così infastidito da chi semplicemente manifesta, in base a semplici prove e conoscenze scientifiche, il proprio dissenso, da definirlo in malafede, un morto vivente. Facendosi ancora una volta portabandiera di quel pensiero unico "antielitario", che deve per forza piacere a tutti quelli che sono aperti di mente, e che suona sottilmente dittatoriale.

Lo sappiamo, contro questo concerto si era scagliato persino Messner, che poi è apparso in un foto nella quale stringe la mano a Jovanotti, ripresa da tutti quotidiani e venduta come un gesto di riconciliazione, come una benedizione al concerto stesso. Un altro inganno di questo tour, stante il fatto che Messner dichiara in questa intervista di non aver cambiato la sua opinione, e di essere salito a Plan de Corones per verificare con i suoi occhi i danni e le criticità del concerto, per lasciarlo prima ancora che cominciasse. Di aver stretto, insomma, la mano a Jovanotti per naturale gesto di cortesia, esponendosi forse con troppo ingenuità alla mistificazione mediatica, che non attendeva altro per scagionare il suo protetto da qualunque accusa.



Rileggevo poco prima le parole di quel botta-risposta che in aprile aveva impegnato le pagine di molti quotidiani: allo scalatore che, in maniera del tutto sensata, evocava il rispetto della montagna come luogo del silenzio, e giudicava semplicemente il concerto di Jovanotti non necessario, quest'ultimo aveva risposto con uno dei suoi post più deliranti, che culminava con queste parole: Se poi lui preferisce il silenzio delle grandi altitudini in solitaria al battito dei piedi che ballano sulla terra nuda stimolati da una giusta potenza di watt rispondo che c’è un momento adatto a tutto, e a Plan de Corones la folla festosa non è una novità, è un luogo di tutti ed è bello per questo. Sentirsi invasi da gente allegra che non ha nessuna intenzione di violare nessun tempio naturale ma casomai di celebrarlo suona semplicemente, ahimè, elitario, e siamo alle solite, e a me le solite non piacciono, i club esclusivi non fanno per me. 

Ecco, a proposito di piedi che ballano sulla terra nuda le foto in alto - altro impietoso prima/dopo da aggiungere alla collezione del Jova horror picture show - appaiono emblematiche dei danni che questi eventi possono arrecare a un ambiente naturale. A scattarle non è stata tuttavia uno di quegli zombie in malafede, alla ricerca di una cicca buttata a terra per intentargli un processo mediatico, bensì il fotografo stesso di Jovanotti, e sono tratte quindi dal suo stesso post. Un accostamento di foto che funzionerebbe molto bene in una scuola elementare per spiegare l'elementare concetto di impronta ecologica. Prodotta di certo dalle singole azioni, ma ingigantita in maniera esponenziale dall'effetto dirompente della massa, movimentata in questo caso dall'ego spropositato di un singolo artista. Stupisce l'ingenuità del fotografo che ci regala questa perla: lui ha scattato la foto evidentemente per mostrare un segno tangibile di quei piedi che ballano sulla terra nuda stimolati da giusta potenza di watt, per regalargli un altro trofeo di guerra da esibire senza pudore, non sapendo, al pari di Jovanotti - perchè uno che fa queste cose semplicemente non sa, è ignorante - che uno degli effetti più noti sulla biodiversità, che siano dune o prati di alta montagna, consiste proprio nell'effetto dello human trampling, ovvero il calpestio che, a seconda dell'intensità,  produce inevitabilmente un compattamento del suolo cambiandone le condizioni ecologiche, con effetti negativi sulle comunità di piante vascolari, briofite e di licheni. Lo dice anche Messner nell'intervista di cui sopra: “tutto il terreno era già rovinato prima ancora che cominciasse il concerto, per esempio. Inevitabile con così tante persone, migliaia, riunite per ore.

Invece Jovanotti come al solito semplifica, perché la dittatura del  pensiero unico, quanto di più lontano ci possa essere dall'assimilazione del concetto di biodiversità - l'unica pianta accreditata del tour pare difatti essere la palma, e quando parli di danni ai cakileti, agli elymeti, all'autoctona macchia mediterranea, che loro nemmeno concepiscono, scrollano le spalle e gridano alle fake news - ha bisogno di concetti semplici, semplici come l'idea che un prato o una spiaggia possa essere restituita meglio di prima, dopo che camion, trattori e diecine di migliaia di persone vi hanno camminato e ballato sopra. Che in fondo la cosa importante sia lasciarla pulita dai rifiuti prodotti dallo stesso concerto. Il cammino è iniziato e reale, e le nostre feste saranno un nuovo campo base che a differenza di quello sull’Everest verrà lasciato meglio di come lo troveremo con la collaborazione di tutti quelli che vivranno una grande giornata insieme. 
 
Il fatto è che 10/30/70 mila persone su un prato in montagna anche se non lasciano una sola cicca di sigaretta a terra sono impattanti per il fatto di esistere, come dice benissimo Alessandro Gogna in questo articolo dal suo blog, riguardo il criticatissimo concerto a RisorgiMarche dell'anno scorso. Perché non è davvero necessario portare in questi luoghi diecine di migliaia di persone. Cosa importa, come ha scritto il WWF, intervenuto con questa dichiarazione a minimizzare ogni impatto nella querelle Jova-Messner, che Plan de Corones sia un luogo già antropizzato - con impianti di risalita, hotel, e anche un criticabile Museo Messner progettato da Zaha Hadid, esponente di spicco di quella internazionale dell'egocentrismo architettonico delle cosiddette archistar - che registra ogni inverno mezzo milione di arrivi? Anche Venezia accoglie milioni di turisti all'anno, eppure fu mondiale lo shock delle immagini nel dopo concerto dei Pink Floyd, a piazza San Marco.

Si tratta dell'ennesimo inno alla deresponsabilizzazione collettiva. Potrei dirmi, allora, cosa importa se butto un mozzicone acceso in questo minuscolo boschetto, visto che stanno bruciando, in centinaia di migliaia di ettari, le foreste siberiane, amazzoniche, centroafricane? Cosa importa se fotto con una speculazione edilizia anche quest'altro terreno incolto, tanto qui davanti a me è già tutto costruito? Quando vogliamo cominciare a levare invece di aggiungere? Ad alleggerire invece di appesantire? Forse sarebbe finalmente il caso di crescere, e capire che raccogliersi la propria immondizia è un obiettivo che può essere educativamente soddisfacente per un gruppo di bambini, ma da persone pacifiche, allegre ed evolute, come Jovanotti vuole dipingere il suo popolo, sarebbe lecito attendersi qualcosa di più, uno sforzo di comprensione delle fragili interconnessioni ecologiche nelle quali siamo immersi.  Sorvolando sul fatto che ci sono tante testimonianze, foto o video, di rifiuti, e tanti, dispersi nell'ambiente durante questo tour, sarebbe il caso di cominciare a capire che noi, come uomini, dobbiamo prima di tutto cominciare a fare un passo indietro, e non importa il volume dei decibel o la classificazione dei rifiuti. Soprattutto quei megalomani che guardano il mondo dalla vetta di una hit parade devono capire che, se vogliono fare la loro parte, potrebbero cominciare innanzitutto a farsi da parte. A fare silenzio. Perché non sono necessari. Tantomeno per salvare il pianeta. Anzi, forse sono un ostacolo, uno dei principali. Impegnati come sono a vendere disperatamente, e con ogni inganno, i propri sogni, che impediscono alla gente di vedere con occhi lucidi la realtà.


p.s. questo articolo è stato scritto in totale apnea.


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