domingo, 21 de julio de 2019

JOVA BEACH KARMA





La notizia dell'annullamento della tappa del Jova beach Party ad Albenga perché l'erosione costiera rende impossibile il montaggio del palcoscenico impone una riflessione. Che va oltre la polemica sulla ormai proverbiale incapacità degli organizzatori - congiuntamente agli amministratori di turno - che riempie tutti i quotidiani. Sorvoliamo pure sul messaggio Instagram di Jovanotti, che come al solito sembra cascare dalle nuovole, benché l'erosione della spiaggia di Albenga fosse un processo in atto da molti mesi,  e non certo determinato solo da una ultima improvvisa mareggiata, come ben rimarcato dall'assessore provinciale Ciangherotti in questo articolo, consigliabile a chi sia interessato alla giusta polemica su questo mancato concerto, il terzo se contiamo anche Torre Flavia, oltre a Vasto: Il motivo, a quanto mi è stato riferito, è banale e scontato: la sabbia bagnata dalle acque sotterranee del Centa e del mare non è in grado di reggere il peso del palco. Una criticità che, sicuramente, si sarebbe potuta evidenziare prima, se i tecnici della Trident avessero fatto delle prove, e se l’Amministrazione comunale avesse provveduto ad effettuare qualche piccola opera di consolidamento. Questa credo sia la verità vera, ma non mancano altre ricadute di altro tipo, che vorrei sottolineare con domande, non potendo dare risposte certe. La prima riguarda il Piano parcheggi che, ad una settimana dall’evento, non era stato ancora messo a punto. Perchè questo ritardo? La Prefettura, attraverso la commissione sicurezza, avrebbe dato il via libero ad un evento da 23 mila persone in un’area così ristretta, al di là della bufala della ‘spiaggia mangiata’?

Fermo restando il rammarico per quanti, tra gli operatori balneari, sia rimasto danneggiato dagli eventi atmosferici, e dall'annullamento del concerto, dobbiamo qui ascendere a una considerazione generale sullo squilibrio ecologico che caratterizza la nostra era, detta dell'antropocene, e sulla progressiva estremizzazione dei fenomeni climatici, vedi mareggiate, che come in un boomerang ci restituiscono ogni violenza all'ambiente naturale. Si tratta di una considerazione che ci coinvolge tutti, ma all'interno della quale gli organizzatori dello sciagurato tour molto plastic e poco free possono ritagliarsi un loro specifico insegnamento del quale, sono oramai rassegnato, non faranno tesoro. Nello scenario di una spiaggia che mostra tutta la sua fragilità, il Jova Beach Tour assurge a paradigma di una società che spinge al limite i tassi di sfruttamento degli ecosistemi, senza rendersi conto che i limiti sono già stati superati da tempo. La volontà di occupare le spiagge fino all'ultimo centimetro con degli spettatori ballanti, per fame di incasso e vanagloria, senza dare spazio nel raggio di ettari ed ettari a qualunque altro essere vivente o espressione della natura è un emblema di questa cecità. Chiedetelo alle tamerici di Cerveteri, per quale ragione dovessero essere espiantate, in un tour che si farebbe portavoce di un messaggio ambientale, chiedetelo agli ettari di vegetazione psammofila spazzati via, anche a Castel Volturno e Vasto, sulla cui rimozione poi campeggiava lo slogan idiota "Lasceremo le spiagge più pulite di come le abbiamo trovate".
Ebbene, sono proprio quelle piante, cakileti, elymeti, ammofileti, che anno dopo anno avrebbero prevenuto l'erosione della spiaggia di Albenga, sono loro il primo presidio contro l'erosione, quelle piante che permettono la creazione di dune e l'accumulo di sabbia, insieme a tutti i detriti depositati dal mare, i banchi di Posidonia, rami e tronchi, le conchiglie, tutta la ricchezza che viene puntualmente portata via ogni anno da zelanti trattori (come i Landini, simbolico sponsor del tour) per renderci una spiaggia così pulita, una sabbia così setacciata che è possibile anche ballarci, e sballarcisi, sopra.
Chi fa della spiaggia un bene economico dovrebbe fermarsi un attimo a riflettere su come realmente funzioni, una spiaggia, e quale sia il meccanismo che ha portato nel tempo ad accumularsi tanta preziosa, finissima, sabbia. Comprenderebbe che occuparsi del fratino - o dei suoi compagni di trincea - significa molto più che aiutare un simpatico uccellino a sopravvivere, facendo contenti gli ambientalisti: significa garantire la stabilità di un ecosistema, salvaguardando la vegetazione nella quale nidifica e si ripara, ovvero significa anche tutelare nella sua ampiezza un bene economico chiamato spiaggia, quello che è venuto a mancare sotto i piedi di Jovanotti.

Se la vicenda di Vasto, nel diniego del prefetto a svolgere il concerto su un fosso naturale, ci ha restituito la coscienza che tutelare un ecosistema nella sua integrità vuol dire necessariamente tutelare anche la sicurezza delle persone, la vicenda di Albenga ci insegna che chi spiana e setaccia le spiagge con trattori e ruspe, per farne una pista da ballo, chi le lascia più pulite di prima, asportandone tutta la vegetazione, fa una violenza alla natura che inevitabilmente, anno dopo anno, gli torna indietro. E se adesso Jovanotti rimane vittima dell'erosione beh... sarà solo una questione di karma!

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